Silvano: Tom Sawyer, il monello dei libri

Grosso modo la storia è cominciata con Tom Sawyer e con i Ragazzi della via Pal. Poi è andata avanti a ritmi serrati, nonostante un’infanzia molto tomsawyeresca. Con molti libri e anche con molti meravigliosi fumetti.
A 14 anni ho scoperto il mio libro delle risposte: Il manifesto di Marx e Engels. E dopo due o tre anni, un altro autore che la pensava come me: Wilhelm Reich, con La rivoluzione sessuale.
Intanto: overdose di narratori “classici”, specialmente russi, da Puškin a Šolochov (ebbene sì!), passando (molto) per Gogol’ e voracemente da Dostoevskij e Tolstoj (quasi tutto di tutt’e due, compreso il granitico Resurrezione!). E poi i francesi, i tedeschi, gli americani… A scuola, a Manzoni contrapponevo ostinatamente Ippolito Nievo, per la disperazione della professoressa più conformista del reame…
Da allora ad oggi? Mah, di tutto e di più. Senza un criterio particolarmente rigoroso. Sono sempre stato un dilettante della lettura e dello studio.
Pur facendo teatro la letteratura teatrale mi ha sempre abbastanza annoiato. Scritta per essere “detta”, la lettura diventava funzionale solo al lavoro. Il punto è che esiste una parola scritta per essere “letta”, una per essere “detta” e una per essere “vista”. Le loro funzioni e caratteristiche sono completamente differenti. Quando si legge uno scritto di narrativa, il lettore è regista e interprete: è lui che decide tempi, modi e toni della lettura. Il testo teatrale no, è uno scritto che ha senso in quanto venga “detto”, rappresentato secondo criteri, tempi e modi, decisi dal regista e dagli interpreti. Il drammaturgo è tale solo se scrive sapendo questo. Per cui, non sempre l’opera destinata al teatro brilla di virtù letteraria in sé e per sé. In cinema poi, la parola viene “vista” addirittura, e, con particolare riferimento al doppiaggio, destinata a una traduzione rigorosamente funzionale ai ritmi e ai “labiali” con cui viene resa dal personaggio sullo schermo.
Per finire: vent’anni fa una rivelazione fu Entropia di Jeremy Rifkin e, oggi, grandi narratori da tutto il mondo ex coloniale, da Garcia Marquez a Galeano, da Susan Abulhawa alla sconvolgente Arundhati Roy de Il ministero della suprema felicità. Romanzi italiani? L’ultimo che mi ha colpito è di un anno fa, I fantasmi dell’Impero di Cosentino, Dodaro, Panella.
E detto questo, so già che mi pentirò cento volte per aver omesso l’iradiddio. Ma tant’è.
Ah, e la poesia?
Beh, un’altra volta. Magari mando alla Città di Isaura una registrazione di quella che considero la più bella poesia della seconda metà del secolo scorso e… ma non voglio dire qual è!

Silvano Piccardi

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Città Isaura

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