“Far durare ciò che inferno non è e dargli spazio” (Italo Calvino)

Silvano Piccardi è il Kublai Khan, Giuseppe Cederna è Marco Polo. Il dialogo è quello che chiude in modo mirabile le pagine del romanzo Le città invisibili di Italo Calvino (Mondadori, 1993). Che si conclude con queste parole:

Kublai Khan: – Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo, che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.

E Polo: – L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

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Città Isaura

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