IL CAMMINO DI DOLORES

Racconto di Monica Serra e Michele Damiani

Primo premio sezione pubblica del Concorso letterario “In viaggio sulla via Francigena”

Le mattine di maggio erano quelle che Laura e Marco preferivano. Le vie intorno al casale in cui vivevano, su via di Grottefranca, si vestivano di primavera, e in quella stagione era una gioia passeggiare tra ginestre e papaveri in fiore. Scendendo da Mont’ecco, incrociarono un gruppo di pellegrini. Se ne vedevano molti, in giro, a percorrere la Via Francigena in direzione di Roma, provenienti da ogni parte del mondo.
– Secondo te, da dove vengono? – chiese Marco. Non aveva mai avuto particolare interesse per le lingue e non riusciva a decifrare lo strano chiacchiericcio pieno di “r” che riempiva la via.
Laura tese l’orecchio, una ruga di concentrazione si disegnò sulla sua fronte e dopo un po’ sparì.
– Spagnoli! – esclamò e corse via, superando il gruppetto che si sbracciò in risposta al suo saluto. Preso alla sprovvista, Marco la inseguì fino all’arco che sovrastava l’ingresso del borgo. Era veloce, sua sorella, la ragazzina più veloce che conoscesse! La raggiunse con il fiato corto davanti al Palazzo Chigi.
– Dai, lentone, altrimenti la biblioteca chiude!
La scuola era quasi finita, ma la prof di italiano non sembrava essersene ancora accorta e, come ogni sabato, i due gemelli avevano un libro da iniziare a leggere per il mercoledì successivo.
Anche il gruppo di pellegrini era arrivato davanti al Palazzo.
– Hola! – Una ragazza dal naso lentigginoso e i lunghi capelli rossi raccolti in una coda di cavallo si avvicinò ai due fratelli. – ¿Puedes decirme donde està el albergue? – Ci pensò su un istante, poi specificò. – Maripara.
– Cercano l’ostello! – esclamò Marco, entusiasta di aver capito. Gesticolando, indicò alla straniera il portone del palazzo e le finestre del secondo piano. Lei parve comprendere.
 – Gracias! – disse, poi fece segno ai compagni di seguirla e salì le scale. Il gruppetto scomparve oltre la grande porta di legno, lasciandosi dietro il suono di esclamazioni sorprese alla vista del bellissimo cortile.
Anche i gemelli varcarono la soglia ed entrarono in biblioteca.
– Prenderò un libro sulla Francigena – disse Marco.

– Hai ragione, sarebbe stato bello avere qualche storia su Formello da raccontare a quei pellegrini.
Dietro al bancone c’era un signore di una certa età che non avevano mai visto. Alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e li guardò attentamente.
– È sulla Francigena, quello? – chiese Laura affacciandosi oltre il mobile e sbirciando le pagine ingiallite. – Sembra molto vecchio.
Il bibliotecario si sistemò gli occhiali che erano scivolati giù per il naso e la fissò con occhi simili a punte di spillo.
– Oh, sì. Ma non è questo, il libro che cercate. Certo, parla della Francigena e della sua storia. Ma non credo che siate pronti per lui.
Laura non riusciva a leggere i caratteri sbiaditi, ma restò male per il tono usato dal bibliotecario. Cosa credeva, che fossero due ragazzini stupidi? Che ne sapeva, lui, della professoressa Pinzi che aveva insegnato loro a leggere ogni cosa, fosse pure il più bislacco saggio storico?
– Beh, può tenerselo. Non pare così interessante – replicò. Prese Marco per la manica e lo trascinò nella sala contigua, piena di scaffali traboccanti di libri.
– Sei una rompiscatole – la rimproverò il fratello, ma lei si strinse nelle spalle.
– È lui che ha cominciato. Cerchiamo il nostro libro, qui ce ne sono mille meglio di quello che stava leggendo quel tipo.
Laura si diresse allo scaffale sulla Francigena, mentre Marco scorreva i titoli dei libri per ragazzi. Ancora non avevano deciso quale testo scegliere, quando il nuovo bibliotecario si affacciò alla porta.
– Ragazzi, devo uscire a fare una piccola commissione. Posso lasciarvi da soli per qualche minuto?
– Ma certo! – rispose Marco, eccitato all’idea di diventare il custode di tutti quei volumi, anche solo per pochi minuti. L’uomo alzò il pollice e uscì. Laura andò dietro al bancone. Il vecchio libro era ancora lì, aperto su una pagina illustrata. Il disegno ritraeva una giovane in abiti antichi, in cammino lungo un sentiero che si perdeva tra i campi.
– Che fai? – Marco si guardò attorno, nervoso, quando Laura chiuse il libro e se lo mise sotto il braccio.
– Ho scelto il libro da leggere per mercoledì – rispose lei. Dalla vetrata che dava sul cortile vide il bibliotecario che stava tornando. – Andiamo!
Corsero fuori dalla biblioteca, col cuore in gola, e quando incrociarono l’uomo questi, anziché arrabbiarsi alla vista del libro, sorrise e li lasciò andare.
Uscirono dal borgo, senza accorgersi che le solide mura di pietra tremolavano come fossero immagini riflesse nell’acqua. Qualcosa di strano stava accadendo al paesaggio, era come se il tempo si stesse riavvolgendo e le cose tornassero a essere com’erano dieci… cento… cinquecento anni prima!
I gemelli correvano verso casa e quando furono a Grottefranca, a malapena riconobbero la via. Non c’era più l’asfalto, ma solo prati e una via sterrata sulla quale avanzava un carretto trainato da un asino.
– Che cavolo è successo? – chiese Marco, fermandosi nel punto in cui avrebbe dovuto esserci il cancello della vecchia casa in cui abitavano. Laura si bloccò accanto a lui, perplessa, tenendo il libro ben stretto.
– Non lo so…
– Guarda! – esclamò suo fratello, indicando un casale che si ergeva tra l’erba punteggiata di papaveri. Sembrava casa loro, in verità, ma la costruzione non era ancora completa.
Laura corrugò la fronte, come per catturare un ricordo. Aprì il libro alla pagina illustrata che il bibliotecario aveva lasciato bene in vista e la mostrò a Marco. Sullo sfondo del sentiero su cui la ragazza camminava poggiandosi a un bastone c’era una casa… Quella casa!
I gemelli si guardarono, più sorpresi che spaventati, mentre il cielo sopra di loro si copriva di nuvole.
– Troviamo un riparo – disse Marco – e cerchiamo di capire cosa sta succedendo.
– D’accordo. Credo che quella grotta possa andar bene.
Corsero verso il riparo roccioso che si trovava a lato della strada e si accucciarono in fondo.
Le prime gocce di pioggia vennero giù con un suono ritmico, nel silenzio della campagna.
Laura aprì il libro alla pagina che tanto l’aveva colpita e iniziò a leggere.
– Il cammino di Dolores.
– Somiglia a quella che cercava l’ostello, non ti pare? – domandò Marco, puntando l’indice sui capelli rossi della ragazza ritratta nel disegno.
Laura lo zittì.
– Fammi leggere. E comunque, sì, è vero, le somiglia. – Con la voce impostata (faceva scuola di teatro ed era anche piuttosto brava), iniziò a leggere. – Dolores de Vega aveva percorso mezza Europa per recarsi a Roma. Camminava da mesi e aveva quasi raggiunto la sua meta, quando si trovò a passare per Formello.
I due ragazzi erano talmente presi dalla lettura che non si accorsero che, per ogni parola pronunciata, un oggetto d’altri tempi compariva nella grotta. In breve, il rifugio improvvisato si trasformò in un magazzino pieno di attrezzi per il lavoro nei campi.
– Mancava poca strada per arrivare all’Urbe e il gruppo di pellegrini con cui Dolores viaggiava era in preda all’euforia. Mentre passavano per Grottefranca, però, furono aggrediti dagli sgherri di Cretonis, il signorotto locale.
Delle grida provenienti dall’esterno della grotta costrinsero i gemelli ad alzare gli occhi dalla pagina. Quale stupore nel notare che l’ambiente intorno a loro era totalmente diverso dalla vuota spelonca in cui avevano cercato riparo dalla pioggia! Marco si alzò e si avvicinò alle botti che si erano materializzate accanto alla parete. Annusò l’aria.
– È odore di vino, come quello che fa il nonno…
Un nuovo grido ruppe il silenzio. Laura posò il libro in terra e raggiunse il fratello all’imboccatura della spelonca. Lo spettacolo che si presentò loro fu terribile. Alcuni pellegrini cercavano di difendersi con i bordoni dall’assalto di un gruppo di uomini armati di spade. Il temporale aveva sciolto la via in una melma molle e appiccicosa e tutti erano ricoperti di fango. In mezzo agli assaliti, i gemelli riconobbero la ragazza del libro. Marco afferrò un forcone poggiato alla parete, intenzionato a gettarsi in difesa della pellegrina, ma l’oggetto svanì fra le sue dita.
Lo scontro fu breve. In pochi minuti i viandanti furono disarmati e ridotti in ceppi. Uno dei ceffi dall’aria feroce, armato fino ai denti e accompagnato da un enorme mastino, si avvicinò alla grotta. Prima di comprendere cosa stesse accadendo, Laura e Marco si ritrovarono prigionieri in una cella buia e maleodorante, dietro a una robusta grata. Al posto dei tini c’erano un paio di secchi luridi, gli attrezzi contadini erano spariti e dalle pareti penzolavano catene di ferro. Dovevano esserci altre celle, poiché nelle vicinanze si udivano lamenti sommessi. Una voce, in particolare, si distingueva dalle altre. Vibrava di paura e coraggio al tempo stesso.
– Ave, Maria, grátia plena, Dóminus tecum. Benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui, Iesus.
I gemelli riconobbero la preghiera, l’avevano imparata in latino durante gli incontri di catechismo dell’anno precedente. Vincendo lo spavento, si presero per mano e si unirono all’invocazione.
– Sancta María, Mater Dei, ora pro nobis peccatóribus, nunc et in hora mortis nostrae.
A poco a poco, gli scrosci del temporale si smorzarono in un picchiettio leggero e i tuoni, che fino a quel momento avevano scosso le pareti della grotta, cessarono.
Una luminosità improvvisa, calda e intensa, si diffuse nella cella. Una figura alta, vestita di un semplice abito bianco, passò lentamente davanti alla grata di ferro, silenziosa, leggera, come se camminasse su una nuvola. Capelli d’oro fluttuavano intorno al viso d’alabastro e un sorriso gentile avvolse i ragazzi. La creatura – era un uomo? Una donna? I suoi lineamenti erano così perfetti che non avrebbero saputo dirlo – passò oltre e si fermò qualche cella più in là. La sua voce pacata arrivò come una carezza e sembrò purificare la spelonca. Le pareti sembravano meno laide, adesso, e la sporcizia si ritirava nell’ombra degli angoli mentre le parole dell’essere illuminavano l’ambiente.
– Dolores – disse e la ragazza smise di pregare. Ci fu un rumore di catene spezzate, di sbarre divelte, poi uno scalpiccio davanti alla cella. I pellegrini spagnoli si dispersero nel cunicolo da cui il tipo vestito di luce era venuto. I ferri che sbarravano la grotta in cui Laura e Marco erano rinchiusi svanirono nell’istante in cui la creatura passò, portando in braccio Dolores.
Pareva svenuta, e i suoi capelli ondeggiavano come fiamme sull’abito luminoso. L’alta figura guardò i gemelli con occhi antichi come il mondo e s’incamminò nel corridoio. Sempre tenendosi per mano, Laura e Marco lo seguirono; la sua veste sembrava intessuta di raggi di sole e spargeva luce per tutte le gallerie che attraversavano.
Un abbaiare feroce accompagnato da imprecazioni tremende proveniva dal buio che si lasciavano alle spalle, ma furono all’esterno prima che le canaglie li raggiungessero. I gemelli corsero verso un gruppo di querce e si accucciarono al riparo dei tronchi robusti, a osservare la scena con il cuore che batteva al pari di un tamburo impazzito.
Aveva ripreso a piovere e si trovavano all’esterno di un tetro castello che non avevano mai visto prima. La notte sembrava voler scivolare nel violetto dell’alba senza riuscirci e l’unica luce era quella emanata dal vestito bianco dell’essere misterioso. Lo videro deporre delicatamente Dolores, che restò nell’erba, priva di sensi, e fronteggiare l’uomo che uscì dal maniero agitando un enorme spadone, vestito con un’armatura da nobile e circondato da un branco di mastini inferociti.
Sotto gli occhi stupefatti dei gemelli, la creatura dispiegò un paio d’ali più lucenti del sole, illuminando a giorno ogni cosa. L’angelo – perché, sembra assurdo, ma quello era proprio un angelo – alzò un braccio verso il cielo, che iniziava a scolorare in un timido azzurro, e pronunciò tre parole, semplici, ma incomprensibili a orecchio umano. Poi puntò il dito in direzione del signorotto. Un fulmine più bianco del latte saettò nell’albore indistinto e si schiantò sul petto dell’uomo, spingendolo indietro con una forza inaudita. L’armatura si accartocciò contro le mura della rocca; le pietre tremarono e si staccarono le une dalle altre, crollando con un fracasso tremendo a seppellire il corpo del castellano.
Dal terreno spuntarono rami sottili che si fecero sempre più spessi e robusti, mentre strisciavano fra i ruderi e s’avvinghiavano ai resti del maniero ricoprendolo di una fitta coltre di foglie.
L’angelo scomparve nei raggi del sole nascente e Dolores si tirò su. Per un attimo, i suoi capelli arsero come fuoco nella luce del mattino, poi la ragazza si volse in direzione dei gemelli, alzò una mano in segno di saluto e svanì nel primo soffio di brezza.
Laura e Marco si guardarono, incapaci di parlare. Le cose intorno a loro, a mano a mano che il sole illuminava la via, assumevano contorni sempre più definiti e familiari. Il casale del nonno si stagliava solido in mezzo a un tripudio di papaveri e ginestre; in fondo alla strada, disceso Mont’ecco, il borgo mutava rapidamente aspetto: una torre, poi tre, due…
– Forse è meglio restituire il libro – osò Marco. Laura non trovò nulla da opporre. Si avviarono verso il paese, proprio mentre una nuova torre s’innalzava oltre le mura, una bizzarra costruzione moderna che contrastava con l’antico palazzo eppure s’integrava perfettamente in esso. Varcarono il portone, furono nel cortile e incrociarono il gruppo di pellegrini spagnoli che uscivano dall’ostello. Chiacchieravano e ridevano, con quell’allegro arrotare le parole caratteristico della loro lingua. La ragazza con le lentiggini li salutò, poi uno dei suoi compagni di viaggio la chiamò.
– Dolores, vamos a ir!
A sentire quel nome, Laura e Marco sgranarono gli occhi e guardarono i viandanti allontanarsi verso piazza San Lorenzo.
Il bibliotecario si avvicinò e tolse con delicatezza il libro dalle mani di Laura. Lo sfogliò, poi rivolse uno sguardo complice ai gemelli.
– Ah, la magia dei libri! – Aprì alla pagina del sommario e passò il dito sui titoli in grassetto. Il suo sorriso prometteva misteri e avventure. – Allora, ragazzi, quale storia volete rivivere oggi?

Città Isaura

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