Michele Gamba: respirare con l’orchestra

Il direttore d’orchestra, da solo, non può fare musica. Ha bisogno di un’orchestra davanti a sé. Per far suonare un’orchestra c’è bisogno di un impulso ritmico, dato proprio dal respiro del direttore. La produzione fisica del suono, dunque, il ‘suonare’, origina dal respiro. […] L’orchestra è un organismo che respira. Trovarsi sul podio di un qualunque assieme di strumentisti significa in qualche modo essere il “centro collettore” del respiro di tutti. Due organismi si incontrano – il direttore e l’orchestra – e per osmosi respirano l’uno con l’altro.”

Comincia così il capitolo “Una sera con Mimì” scritto per Il senso del respiro dal direttore d’orchestra Michele Gamba, entrato fra gli autori del libro attraverso una connessione di …terzo grado con noi curatori , che non avevamo ancora la fortuna di conoscerlo personalmente: da un’amica a un’amica a lui, anche così nascono le squadre.

Gamba è stato, quattro anni fa, protagonista di una storia che merita di essere raccontata. E’ diventato improvvisamente famoso al grande pubblico nel giorno di venerdì santo del 2016, quando per un caso fortuito, sempre che il “caso” esista, si è ritrovato a sorpresa a dirigere sul podio della Scala di Milano.
Come assistente di Daniel Barenboim in quel periodo lavora a Berlino (dopo esserlo stato di Antonio Pappano a Londra), è a casa per le vacanze di Pasqua e sta preparando il sugo per la sua cena. Venti minuti prima delle otto squilla il telefono. E’ il suo amico Francesco Meli, tenore impegnato in quei giorni alla Scala nell’opera di Giuseppe Verdi I due Foscari. Poche ore prima avevano mangiato insieme un gelato, Michele sa che alle otto comincia lo spettacolo e trova strano sentire la voce di Meli. Ma ancora più strana trova la sua domanda. La scena ce la racconta fedelmente sul Corriere della sera  Giuseppina Manin:

«Ti ricordi I due Foscari?» gli chiede a bruciapelo Meli, che due anni fa l’aveva cantata al Covent Garden, direttore Tony Pappano, di cui Gamba era stretto collaboratore. E senza dargli il tempo di rispondere aggiunge: «Vieni subito in teatro, stasera dirigi tu». Silenzio dall’altro capo del filo. Racconta Gamba: «Ho pensato subito a uno scherzo, così gli ho detto “Piantala… Non è divertente”». Ma Meli insiste. Spiega che Michele Mariotti, il maestro titolare, è arrivato in teatro con le ossa rotte e in breve la febbre è salita. Non ce la fa a dirigere, la gente è già tutta in sala, la recita rischia di saltare. «Solo tu che sei a Milano e conosci l’opera puoi salvare la situazione. Corri!». «Ho agguantato la partitura, una giacca e una cravatta e sono sceso in strada com’ero, in maglione. Ho fermato un taxi: alla Scala e più in fretta che può, ho gridato. Erano le 19.55. Nel tragitto ho ripassato la partitura e mi è tornata in mente una frase di Pappano: questa è un’opera difficile… Perfetta per un debutto su due piedi alla Scala! Ma non ho fatto in tempo a spaventarmi che ero davanti al Piermarini. E con orrore mi sono accorto di essere uscito senza soldi. Per fortuna ad aspettarmi fuori c’era un’anima buona del teatro». 

“Di quella sera – ci dice- è stato scritto tutto. Certamente ci sono state delle congiunzioni astrali: con Francesco e con sua moglie, il soprano Serena Gamberoni, ci eravamo conosciuti a Londra. Il mondo dei musicisti è veramente molto piccolo, un microcosmo.  A quindici minuti dal sipario, a meno che un teatro non funzioni con una sorta di direttore in casa, se il direttore sta male non si sa davvero cosa fare. Io ero a Milano perché era il weekend di Pasqua. E a Francesco venne in mente di chiamarmi. E’ come quando un medico si trova per strada, qualcuno gli sviene davanti e lui si ritrova all’improvviso un eroe. In effetti ha fatto solo il suo dovere, come io il mio. E’ un concetto di “servizio musicale”.

Il debutto di Michele Gamba alla Scala a trentadue anni è avvenuto così, con un successo inatteso di pubblico e di critica, grazie, evidentemente, oltre alla sapienza tecnica, alla sua capacità di cogliere il respiro dell’orchestra e di sintonizzare subito il suo.

“Il direttore d’orchestra è in una posizione che amplifica un respiro – spiega. – Non c’è nulla di misterioso se non un atto fisiologico e naturale come quello di respirare. Questa professione è distante dal cliché e dallo stereotipo del direttore che impone qualche cosa. Il direttore lascia emanare la musica. Il resto è esperienza, competenza e tutto quello che è poi il gusto, l’aspetto interpretativo e la comprensione del segno che è alla base di questo mestiere.”

Quando ha deciso che avrebbe fatto il direttore d’orchestra? “Da sempre, per una questione molto semplice: il repertorio sinfonico in particolare mi ha affascinato fin da bambino. Io nasco pianista e il pianoforte, che pure ha un repertorio immenso, non consente di godere dell’orchestra di Tchaikovski, di Mahler, di Beethoven o di Mozart. E questo mi mancava. Il pianoforte è uno strumento quasi neutrale, povero di per sé, a meno che uno con la magia delle proprie dita non riesca a trasformarlo in un’orchestra, ma questo avviene in casi rarissimi. Il colorismo musicale il pianoforte non ce l’ha. Ho scelto di fare il direttore perché volevo immergermi nei colori dell’orchestra.”

Se a marzo il primo confinamento aveva impedito l’esecuzione di Medina, alla Scala di Milano, la nuova sospensione degli spettacoli l’ha trovato impegnato a Firenze, dove Il barbiere di Siviglia con l’orchestra del Maggio musicale fiorentino, che presenta in questo video, è andato in scena solo due volte.  Sulle sue sensazioni in questa fase, sono simili a quelle di molti, artisti e non, ma con un vuoto particolare: “Mi sento afono. Quando lavori con orchestre come queste sei immerso in colori e suoni che da casa puoi solamente immaginare.  C’è molto più scoramento adesso, si fa più fatica ad accettare la drammaticità della situazione. Ora è più doloroso.”

(Nella foto: Michele Gamba riceve, a fine settembre, due copie de Il senso del respiro davanti al Conservatorio G. Verdi di Milano)

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Città Isaura

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