Un angelo in canonica. Estratti dal libro di Andrea Girelli
Dopo l’esordio di narratore con L’anormale, Le avventure di un presunto tale, Andrea Girelli ha pubblicato, per lo stesso Robin editore, un nuovo romanzo, Un angelo in canonica. Girelli è stato giornalista sportivo per decenni, vicedirettore del Corriere dello sport e inviato in sette Olimpiadi. Ma, come succede in molti casi, quando si diventa narratori, il piacere di scrivere va oltre ogni specializzazione. Il libro, ambientato nel paese di Sanfruttone, in Abruzzo, racconta vicende improbabili di una piccola località, che ha al centro la nuova chiesa degli Avventisti del settimo giorno. L’autore ha scelto per noi alcuni brani del romanzo. Tra questi un brano che contiene curiose e divertenti osservazioni sui nomi di alcuni comuni italiani.
CAPITOLO SEI – INDOVINA IL PADRE
Abbiamo già detto come don Riccardo fosse riuscito in poco tempo a conquistare i favori dei sanfruttonesi che pure conservavano nel cuore il ricordo di don Gaspare, ma il fatto che la perpetua Ilona fosse rimasta incinta gettò nello sconcerto i benpensanti. Il paese di Sanfruttone dove non accadeva quasi mai nulla di rilevante, restò scosso dalla notizia non tanto per il futuro evento in sé ma per il fatto che Ilona viveva in canonica sotto lo stesso tetto del parroco…
Sospetti e maldicenze fiorirono in paese anche se molti giovani assunsero un atteggiamento sdrammatizzante varando addirittura una specie di gioco cittadino chiamato “Indovina chi è il papà”, anche se non c’erano premi in palio. Ci mancava solo che una delle tante agenzie di scommesse comunicasse le relative quote. Per fortuna nessun giornale aveva pubblicato la strana storia della perpetua di Sanfruttone.
Don Riccardo, indiziato numero uno (per non dire il solo), alla prima domenica successiva alla diffusione della notizia, al termine della santa messa da lui officiata – in una chiesa in cui erano rimasti solo posti in piedi – scuro in volto così parlò ai parrocchiani: “E’ ormai noto a voi tutti che la mia governante Ilona aspetta un figlio. So anche che in giro circolano molti pettegolezzi. Bene, sappiate che mi fa rabbrividire il solo fatto che qualcuno possa pensare a me come padre di questa creatura che deve nascere. Il mio ministero, la mia coscienza, la mia fede sono puri. Ilona ha già avuto il mio perdono, noi tutti accoglieremo questo bambino come un dono del Signore. Ora andate in pace.”
CAPITOLO QUATTORDICI – CAROL
In famiglia Carol, la sorella di Edward, come si sa era nubile con tre figli. Janet era la maggiore, poi veniva Bill e infine Frank che aveva solo tre anni più di Angelo.
Edward e Carol pur coltivando principi etici molto diversi erano comunque legati da grande affetto. La sorella, pertanto, aveva deciso subito di accogliere positivamente la proposta di Edward di trasferirsi in Italia. E ovviamente con lei partirono i tre figli.
A suo tempo Carol – capelli castano chiari, guance colorite, sedere consistente – aveva dichiarato che i suoi ragazzi avevano tre papà diversi, non solo all’Anagrafe (dove erano stati registrati come Campetti e basta) ma lo confermava anche in ambito familiare. E nessuno, a cominciare dal suo fratellone Edward, nutriva alcun dubbio al riguardo visto che Bill era di taglia forte, molto scuro di pelle con i capelli crespi nerissimi e le labbra carnose. Janet invece era pallida, asciutta e con vivaci occhi a mandorla. Frank infine era un ragazzo aitante, di pelo rosso, con sguardo ceruleo.
Le perfomances di concepimento erano avvenute tutte d’estate a Holland e a Muskegon due note località turistiche entrambe situate sulla costa del Lago Michigan nei cui alberghi si esibiva in alta stagione un’apprezzata country musical band alla quale Carol si era aggregata come factotum. Un affiatato complesso multietnico composto da bianchi, afroamericani ed asiatici. Erano in nove: tutti uomini, giovani di cui almeno sette decisamente eterosessuali. La band era formata da un sassofono tenore, due chitarre, un contrabbasso elettrico, un clarino, una tromba, una batteria, un banjo e infine da un cantante rosso di capelli di origine irlandese. Il repertorio era abbastanza vasto: spaziava dalla country music fino al jazz.
Carol nel gruppo aveva il suo daffare ed era molto apprezzata sia sul lavoro che nel dopolavoro. Infaticabile, assolveva a compiti organizzativi e di contabilità. Tra giugno e settembre lavorava tutto il santo giorno ma di notte “me la spasso” raccontava alle amiche di Battle Creek ridendo soddisfatta. In effetti andava con discreta frequenza a letto con i compagni della band, poi opportunamente si prendeva le pause necessarie durante le gravidanze e nelle prime fasi successive alla maternità. Durante le periodiche trasferte estive della band – circa 4 mesi – lasciava forzatamente i figli sia al fratello Edward sia alla comunità delle pie donne avventiste che si occupavano con dedizione dei figli di Carol pur stigmatizzando i comportamenti morali della madre..
Carol non aveva mai pensato di chiamare in causa i presunti padri della sua prole anche perché non era affatto sicura a quali componenti della band poter attribuire le varie paternità, salvo forse quella dell’ultimo nato Frank che probabilmente andava riferita al cantante di origine irlandese Liam O’Reilly anche lui rosso di faccia e di capelli. Sulla sua Janet dagli occhi a mandorla invece regnava sovrana l’incertezza dato che erano oriundi asiatici sia il taciturno coreano Jeff L. Park (alla tromba) sia l’estroverso vietnamita Manfred Nguyen (alla chitarra). Molti dubbi anche relativamente alla fecondazione di Bill il cui papà era certamente un afroamericano. Ma chi tra i due? Il grosso e tarchiato Jeremy Brown (al sassofono) o il magro e sin troppo agile Leonard Ashton (alla batteria)?
CAPITOLO TRENTOTTO – NOMI STRANI
Angelo salì i tre gradini del palcoscenico con le gambe che gli tremavano un poco e con voce leggermente emozionata, esordì: “La dottoressa Fiordi, mio capo, ha già precisato la natura poco seria di questo mio pseudo studio aggiuntivo. Ma girando in questi tre mesi abbondanti per l’Italia ho scovato comuni e frazioni dai nomi incredibili. Li ho divisi, come dire, per categorie: state a sentire.”
L’annuncio fu accolto da un brusio in sala di incerta natura. Il che accrebbe i timori di Angelo. Ma si fece coraggio e cominciò: “Ci sono comuni che sembrano un frutteto: Nespolo (Rieti), Noci (Bari), Olmo (Bergamo), Mirto (Messina), Pesco (Benevento), Pero (Milano).
Ce ne sono altri che danno i numeri: Nove (Vicenza), Quindici (Avellino), Trenta (Cosenza).
Tre comuni hanno una gran sete: Golasecca (Varese), Sorso (Sassari), Bevilacqua (Verona).
Alcuni invece ci fanno riflettere sulla caducità della vita: Camposanto (Modena), Loculi (Nuoro), Tomba (frazione di Assisi), Purgatorio (frazione di Casalvieri in quel di Frosinone), Ossaia (frazione di Cortona).”
Mormorii e risate in sala: i delegati sembravano divertirsi.
Angelo rincuorato riprese fiato sfogliando i suoi appunti e proseguì: “Spero di non scandalizzare nessuno ma vi assicuro che non mancano luoghi dai nomi abbastanza licenziosi: Fallo (Chieti), Villa Sesso (Reggio Emilia), Gnocca (frazione di Porto Tolle in quel di Rovigo), Godo (Ravenna), Figa Ruja ( frazione di Bortigiadas vicino Tempio), Belsedere (frazione di Trequanda nel senese).
Se poi ci inoltriamo nel campo delle droghe leggere troviamo Canna (Cosenza), Erba (Como), Belvedere di Spinello (Crotone).”
Altra breve pausa, poi: “Riguardo ad esigenze fisiologiche posso citare Orino (Varese) e Pisciàno (frazione di Gubbio): in questi casi la corretta collocazione degli accenti è fondamentale”.