Luciano: I miei viaggi attraverso i libri

Io sono uno a leggere
e loro sono milioni e milioni a scrivere” (Massimo Troisi)

Il fascino indiscreto della parola scritta

La parola scritta mi ha sempre affascinato e anche, per molto tempo, intimorito. L’ho sempre vista come un mezzo per andare al di là del tempo e dello spazio. L’idea di poter leggere ciò che hanno pensato e scritto scrittori e poeti vissuti secoli o millenni fa e rendendoceli, nel momento in cui leggiamo, nostri contemporanei continua a stupirmi e meravigliarmi.
Due flash dall’infanzia: il piacere di comporre lettere e parole con le mollette dei panni, sotto la guida di mia mamma, prima di andare a scuola e prendere la penna in mano e, qualche anno dopo, la lettura de Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne (o Giulio Verne, come era scritto in copertina), che si è intrecciato nei miei ricordi alla visione del film con David Niven, che probabilmente vidi dopo, alla tv.

I libri: viaggi ed esplorazioni

Mi catturava la possibilità di viaggiare attraverso le pagine dei libri, stando chiusi nella propria stanza. Il salvataggio della giovane vedova indiana destinata a essere bruciata su una pira sovrasta, nei miei ricordi, tutte le altre avventure, col mistero di culture così diverse, lontane e incredibili; l’altro ricordo incancellabile di quel libro è la scena del ritorno di Phileas Fogg e di Passepartout nel club londinese, 81 giorni dopo la partenza, che in realtà sono 80 perché, viaggiando sempre verso est avevano recuperato un giorno. Così la scommessa del protagonista, con relativa sfida, alla base della motivazione del viaggio era vinta.
Ho continuato, per una vita, ad ammirare le storie di esploratori e viaggiare ed esplorare il mondo, esterno e intimo, anche attraverso i libri. E quando sono arrivati i viaggi veri, erano sempre alla ricerca di luoghi di cui avevo già letto, nel primo viaggio in Grecia chiesi le indicazioni per il mare usando l’antica parola “thalatta” che mi era rimasta in testa dall’Anabasi di Senofonte. E quando, cinquantenne, ho cominciato a intervistare gli scrittori, amavo soprattutto scoprire, leggendoli, paesi in cui non ero mai stato, tanto da confondere di tanto in tanto, ancora oggi, le immagini lette sui libri e quelle viste dal vero. L’Irlanda di Frank McCourt, l’Iran di Azar Nafisi, l’Asia degli indovini di Tiziano Terzani, l’Israele di David Grossman, Amos Oz e Abraham Yehoshua, il Vietnam di Thich Nhat Hanh, l’India di Amitav Ghosh e Arundhati Roy, la Nigeria di Wole Soyinka, il Portogallo di Josè Saramago e tanti altri luoghi lontani li ho esplorati, scoperti, visitati, amati attraverso le loro pagine, a partire da quel battesimo del volo che, grazie a Verne, mi ha fatto da imprinting.

Incroci invisibili

Più passa il tempo e più vedo, nel mio percorso personale, tracce di questa storia dell’800 che in qualche modo sono ritornate, inconsapevolmente: ho creato con tre amici una società dalla breve vita dal nome Passepartout, come il fedele servitore di Fogg, ho dato vita a una trasmissione televisiva di Rai International dal nome Mongolfiera (anche se questo mezzo di trasporto viene usata solo nel film e non nel romanzo) e il tema della “scommessa”, al centro del viaggio di Fogg (era l’epoca d’oro delle scommesse l’800 inglese) è tornato nella curiosità per il polpo Paul da cui ha preso spunto il mio romanzo Una vita non basta . Memorie da una metamorfosi.
Negli anni ‘80 mi ha segnato un altro libro in cui si intrecciano il viaggio e percorso filosofico, Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig, illuminante, a poco più di trent’anni, almeno quanto Verne per la prima fase: non ero mai andato in motocicletta e ho continuato a non andarci, se non attraverso quelle pagine. Ma quel primo seme di zen mi è servito a indicarmi un percorso di esplorazione a più vasto raggio e a conoscere campi sterminati fin lì sconosciuti.

Pensieri degli altri che si fanno nostri

Dopo decenni di letture di saggistica, retaggio degli anni ’68 e seguenti, ho riscoperto (a trent’anni di distanza dalle lezioni quotidiane di Salvatore Guglielmino al liceo) la miniera sterminata della narrativa mondiale e il piacere, acuto e sottile, di leggere racconti e romanzi. Nel ’96 ho incontrato casualmente, nel lungo cammino di giornalismo sportivo, Eduardo Galeano e mi sono innamorato a prima vista della sua scrittura fatta di schizzi e acquerelli scritti, leggera, piacevole e profonda. Poi, dalla prima intervista letteraria, quella a David Grossman a Mantova, mi sono immerso, per dieci anni, nella letteratura contemporanea e nella conoscenza diretta di tanti scrittori e di alcuni, tra loro, che ho scoperto essere persone semplicemente straordinarie.
Non ho grande memoria, ma in molte occasioni mi tornano alla mente poche frasi essenziali, lette sui libri o ascoltate dalla viva voce di scrittori. Uso citare, in questi casi, a costo di apparire pedante, per render merito agli autori. Nessuna idea appartiene davvero a nessuno, è nell’aria e qualcuno gli dà forma, con le parole più appropriate. I nostri pensieri, anche quelli che ci appaiono più originali, spesso non sono “nostri” , ma pescati, presi in prestito, metabolizzati, intrecciati in un groviglio fra l’esperienza diretta e le letture, che sono per me un’altra forma di esperienza, di conoscenza di vite altrui e lezione continua di empatia.

Le parole: piccoli tasselli per costruire mondi

Continua ad affascinarmi l’idea che con una ventina di lettere o poco più si possa comporre un tesoro infinito di parole e frasi, come con poche note l’immensità dell’universo musicale. Capisco chi si perde fra i libri e chi vi si ritrova, chi ne legge, ne ascolta, ne parla, capisco persino chi li rifugge (Troisi lo spiega bene): questa scrittura infinita non può che generare forme infinite di relazione con la lettura.
La mia è quella di chi legge e ama selezionare, estrarre essenze e condividerle.
Non ho avuto la fortuna di incontrare personalmente Italo Calvino (anche se ho intervistato il suo amico giardiniere Libereso Guglielmi…), ma le sue pagine mi sono corse incontro sempre più spesso. Oggi, dopo mesi dedicati a Il barone rampante, l’ultima “ri-scoperta” in cui mi tuffo più volte è Palomar , il suo ultimo libro. Isaura, nome di una del suo Le Città invisibili, e l’idea della “gioia della lettura” sono fortemente connesse alla mia passione per i suoi testi, scrittura di un microcosmo che ci collega sempre al Tutto.

Luciano Minerva

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Città Isaura

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