Thich Nhat Hanh: l’ascolto alla base della pace dentro e fuori di noi
«Quando parla in pubblico e quando conversa in privato Thich Nhat Hanh trasmette, con il suo parlare lento, con la voce e l’espressione del viso, uno stato di calma, serenità e forza. Avverti che non c’è una sola parola fuori posto, che quello che dice è frutto di uno stato di profonda consapevolezza, di un’esperienza diretta di ascolto e comprensione della vita, propria e degli altri.» Descrivo così, in Un filo di voci. Trentadue scrittori dal mondo, l’esperienza diretta che provai nel dialogo-intervista con Thich Nhat Hanh. «La calma della sua voce, l’assenza di rughe sul viso, il suo sorriso affondavano le radici in una vita che aveva attraversato la guerra, la perdita di persone care, l’esilio. Tutto lasciato nel passato, tutto perfettamente metabolizzato. E quella “pace dentro” di cui parlava la trasmetteva, prima che con le parole, con la sua presenza.»
Erano passati due anni dal primo incontro (v. qui l’intervista del 2003) e dal mio primo ritiro, condizione indispensabile per poter ottenere l’intervista con lui. E, in occasione di un nuovo ritiro italiano, due anni dopo, lo incontrai ancora e non persi l’occasione di offrire al pubblico di Rainews24, nella rubrica Incontri, un nuovo dialogo, con al centro i temi dell’ascolto, della stretta relazione fra escalation della rabbia ed escalation della guerra, del rapporto tra le diverse religioni.
Il video dell’intervista in Teche Rai
Così racconto, in Un filo di voci. Trentadue scrittori dal mondo la mia esperienza dei due ritiri con Thich Nhat Hanh: «Colsi in quei giorni, nei partecipanti al ritiro, una vera aspirazione comune alla pace che nasceva dal sentire e condividere con gli altri il senso di appartenenza non a un gruppo più o meno grande di persone affini, per ideologia, convinzioni o cultura, ma alla famiglia umana, all’intera umanità e alla natura stessa di cui facciamo parte. E tutto partiva dalla consapevolezza che ogni cosa con cui abbiamo a che fare parte da noi, che la pace dentro noi stessi è, come avevo già sentito da Tiziano Terzani e David Grossman, strettamente interconnessa alla pace nel mondo.
Oltre ai lunghi silenzi (un “nobile silenzio”, come lo chiamano, ben diverso da quello che personalmente conoscevo e che mi creava solo inquietudine) scoprivo lì anche le camminate meditative all’aria aperta con il passo più lento possibile, un’altra delle forme–base della tradizione meditativa orientale. […]
Agli antipodi della mia esperienza si presentava anche la forma di condivisione di temi ed esperienze in gruppo, rispetto alle forme che avevo conosciuto e fatto mia nei dibattiti accesi e animati nei partiti, associazioni e luoghi di lavoro. Fini diversi, contesti diversi, forme diverse: lì ci si siede in cerchio perché ciascuno possa vedere tutti gli altri; quando qualcuno chiede la parola si alza e si inchina, in forma di rispetto, agli altri che a loro volta rispondono con un inchino. Compresi, non da osservatore ma da partecipante attivo, come questa forma favorisca la disponibilità di tutti a esprimersi con “parola amorevole” e predisporsi a un “ascolto compassionevole”, entrambe espressioni-chiave per questa scuola di pensiero e di pratica. Se avessi dovuto semplicemente filmare, dall’esterno, queste forme e questi gesti, li avrei forse visti e presentati come rituali formali di culture orientali, senza comprenderne a fondo il senso e la possibilità di essere “universali”. Così fu per la pratica della gentilezza e del sorriso, da coltivare e allenare giorno per giorno nei confronti di tutte le persone, conosciute e non: se il primo giorno si incrociavano sorrisi un po’ forzati, tesi, quasi artificiali, alla fine del ritiro si leggevano sugli stessi volti sorrisi diversi, più aperti e sereni.»
In Un filo di voci quest’incontro viene narrato nel capitolo “La parola nasce dal silenzio”, la sua voce è intrecciata a quelle di Tiziano Terzani, David Grossman e della compagna spirituale dello stesso Thich Nhat Hanh, la monaca buddhista Chan Khong. Nell’introduzione al capitolo c’è questo brano dal suo libro L’amore e l’azione, Ubaldini, 1995, trad. Sergio Orrao:
«La società ci bombarda con così tanti rumori che abbiamo perso il gusto del silenzio. Ogni volta che abbiamo disposizione qualche minuto accendiamo la televisione o alziamo la cornetta del telefono. Non sappiamo come essere noi stessi senza trovare qualcosa che ci distragga. Quindi la prima cosa che dobbiamo fare è tornare a noi stessi e riorganizzare la nostra vita quotidiana in modo da non diventare vittime della società e degli altri.»